Sabato 07 settembre 2024
alle ore 18:00 presso Il Fondaco verrà inaugurata
RESTI COMPOSTI
di Guido Persico
e
PERSEVERANZA
di Marco Fiaschi
–
–
RESTI COMPOSTI
di Sara Liuzzi
Un senso di sospensione spaziale e temporale sembra affiorare dalle superfici pittoriche di Guido Persico, trasmettendo al fruitore uno stato di perenne attesa, dominata da una sottile tensione quasi metafisica.
Resti composti si riferisce all’assemblaggio di frammenti di materiali, raffigurazioni di oggetti e ricordi che portano con sé una storia. Questi resti, seppur decontestualizzati, mantengono una carica emotiva e simbolica che li rende potenti testimoni di un’epoca. Essi non sono meri oggetti di scarto, ma elementi che, attraverso l’atto creativo, vengono rigenerati in nuove forme di narrazione.
Il silenzio, la memoria, la solitudine che persiste nelle sue opere riprende linguaggi propri del Novecento: pervadono arie sospese, dimenticate, dismesse, in una trama narrativa morandiana.
Lo schema compositivo è cadenzato secondo una ritmica silente ma, allo stesso tempo, autorevole, che introduce delle pause simboleggiate da tazzine di caffè o sedie, invitando il pubblico a soffermarsi un momento, a prendersi del tempo.
Quello di Persico sembrerebbe un lavoro ermetico, emotivamente impenetrabile e, a primo impatto, invisibile, ma, se ci si sofferma con attenzione, l’essenza della sua ricerca è racchiusa proprio nel substrato, costruito con metodicità e attenzione. Il suo lavoro conduce lo sguardo dell’osservatore ben oltre la minimale apparenza, ovvero verso la “costruzione” di un qualcosa, come il “fare arte”, per dare voce alle proprie esigenze e passioni. Basti notare l’opera in cui, accanto a cupe distese tonali, è raffigurata una tela immacolata con una tavolozza ai piedi del cavalletto.
L’artista costruisce, così, un discorso apparentemente muto, stagnante, accentuato a volte dall’azzeramento cromatico, ma legittimato dal mescolio e dalla sovrapposizione di carte che restituiscono una dimensionalità al vacuo accadere, dando quindi consistenza. Sì, perché Persico recupera brandelli di carte – fogli di agende, taccuini, cartoline – che incolla e cuce, strato dopo strato, creando uno spessore, metafora del presente, l’hic et nunc. Scavando più in profondità, vi è, dunque, un lavoro pregresso, appunto stratificato, solidificato nel tempo.
Apparentemente fragili appaio queste sue sovrapposizioni, le quali evocano l’interconnessione tra passato e presente, offrendo al pubblico un’esperienza di riflessione profonda sulla natura ciclica della storia, ma che, contemporaneamente, conserva elementi caratterizzanti che evidenziano la sua attitudine compositiva e simbolica. Trattasi di segni stranianti, come transenne, molle, scale, pali, in cui è facile riscontrare la cifra stilista dell’artista. In questi lavori egli avvia un processo esperienziale e identitario, portando alla luce l’archeologica storia del suo percorso artistico attraverso l’alternanza tra aree delimitate di colore, totalmente astratte, e una minimale simbologia che aiuta il pubblico a decifrare il suo processo espressivo. La pratica artistica di Persico è meditata, lenta, intinta di colori fangosi, terrosi, come antracite, ocra, carbone, determinando una processualità in evoluzione, indubbiamente laboriosa, da cui emergono frasi, concetti, appunti, come pensieri scritti di getto, per poi essere cancellati da pennellate di colore, ma che inevitabilmente riemergono dando spazio alla parola, alla riflessione.
Il suo è uno sguardo che si muove tra le geografie di luoghi di transizione, come cantieri dismessi, abbandonati o in attesa di essere recuperati, abbinati a oggetti apparentemente nonsense, ponendo l’accento su qualcosa che è in fase di programmazione, un costante work in progress. L’artista ha esplorato il potenziale estetico e concettuale di questi ambienti, trasformando la loro desolazione in una fonte di ispirazione e rivelando un punto di intersezione tra abbandono e possibilità.
Scrive Zygmunt Bauman «La vacuità del luogo è negli occhi di chi guarda e nelle gambe o nelle ruote di chi procede. Vuoti sono i luoghi in cui non ci si addentra e in cui la vista di un altro essere umano ci farebbe sentire vulnerabili, a disagio e un po’ spaventati» sono queste le ambientazioni narrate dall’artista, dove interviene con pochi elementi, ricreando suggestioni attraverso smalto, colla, cenere, carboncino, bitume e altri materiali trasformati in potenti metafore visive. Egli ci restituisce a volte la malinconia di una dimensione dimenticata o, ancora, in procinto di evolversi. Persico dà così voce agli spazi vuoti e ai vuoti urbani, solidificando l’assenza e trasformandola in presenza tangibile. Decodifica un luogo, un ambiente, destrutturandolo, come insegna Gordon Matta-Clark e la sua anarchitettura, per ricreare nuove dimensioni aperte, che sono in pausa o in fase di elaborazione.
Ciò che affiora dalla sua ricerca artistica è la poetica della rigenerazione, del recupero e della trasformazione, che risiede in una forma di bellezza che va oltre l’estetica tradizionale, ricordandoci che ogni fine porta con sé un nuovo inizio e che la bellezza può essere trovata anche nei luoghi più inaspettati.
–
–
IL CODICE DEI PERSEVERANTI
di Serena Fumero
Torna alla mente il Dialogo della Natura e di un Islandese. Ricordate Leopardi, le operette morali? Ebbene qui Leopardi (che insieme a “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” crea un capolavoro anche nel titolo) ci ricorda che il nostro rapporto con la natura non è altro che un ciclo perpetuo di creazione e distruzione, del tutto fine a se stesso.
La Natura, una gigantessa terribile e bellissima, sorpresa dall’ingenuità dell’Islandese, gli dichiara di non essere per nulla interessata alla sorte della specie umana, la quale potrebbe anzi sparire da un momento all’altro senza conseguenze rilevanti: «Se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei» dice Natura.
La sofferenza umana è elemento necessario affinché la morte, e conseguentemente la legge naturale, possa continuare a operare.
Altra storia è invece quella delle piante, degli esseri vegetali tutti, che nonostante la “Natura Matrigna”, l’inospitalità di certe regioni del pianeta, i disastri climatici, i terremoti, le glaciazioni e le desertificazioni, continuano a dare segnali di vita: i “Perseveranti”.
Marco Fiaschi, nella sua ricerca artistica, è approdato a un codice grafico per raccontarli. Nei suoi lavori troviamo come prima cosa i colori di sfondo: i gialli ocra dei deserti sabbiosi, i bruni dei vulcani, i bianchi dei ghiacciai, i blu degli oceani. In questi “habitat”, nonostante tutto, semi dalle forme tondeggianti e dai colori in contrasto hanno atteso per anni piogge benefiche che li facessero germogliare, piante tenaci che sono riuscite a fiorire sui terreni riarsi, aggrapparsi alla vita su scogli in isole sperdute o a vegetare come licheni al limitare dei ghiacciai. A tutto questo, in ogni sua opera, aggiunge una sequenza di lettere e numeri: le coordinate geografiche di questi luoghi. Le pendici dei Vulcani, come il monte Hekla in Islanda “i cui ruggiti e le minacce” non bastano a fermare la vita di piccoli organismi vegetali, si accompagnano ad altre realtà bellissime e terribili (non a caso gli stessi aggettivi della Natura leopardiana) come il lago Natron dalle acque purpuree in Tanzania o l’Isola Inaccessibile nell’Atlantico.
L’artista ci racconta tutto questo attraverso tavole materiche dall’aspetto sabbioso, di dimensioni diverse che, nello spazio del Fondaco, trovano un ulteriore senso, un linguaggio, una sorta di mappa alla scoperta di questi luoghi in cui, nonostante tutto, persevera la vita e noi, miseri, leopardianamente parlando, per un breve istante abbiamo l’illusione di possederne il codice. Anche le sculture, che ricordano rami e biforcazioni così simili alle tracce che si trovano sulle tele, riportano in tre dimensioni lo stesso concetto di attaccamento e perseveranza nei confronti della vita, anche se qui il linguaggio diventa più simbolico, forse più intimo e spirituale.
Perseveranza è una serie di racconti di sopravvivenza.
–